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Covid e responsabilità del datore di lavoro: il caso del vaccino

La situazione emergenziale causata dalla pandemia di Sars Cov-2 (Covid 19) ha stravolto vite e cambiato gli equilibri sociali.

Nell’ambito di questa ventata di – obbligatoria – novità si inseriscono le nuove previsioni, o meglio i nuovi doveri, gravanti sugli imprenditori nell’ambito della sicurezza sul lavoro.

Ed invero, sono emerse numerose questioni sia in tema di adeguamento del DVR (documento di valutazione dei rischi) al “nuovo” rischio derivante dal Covid e d’implementazione di previsioni atte a ridurre il pericolo di contagio, sia rispetto la responsabilità del datore di lavoro in caso di contagio da Covid di un dipendente rispetto al T.U. sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro (d.lgs. 81/2008) ed alla normativa sulla responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato.

Sebbene, infatti, da un punto di vista pratico e fattuale sia molto arduo risalire al luogo del contagio da covid – per le particolari caratteristiche del virus – e, pertanto, sia altrettanto difficile contestare eventuali lacune in tema di salute sul lavoro al datore, già nel giugno 2020 Confindustria ha fornito alcune indicazioni operative rispetto al D.lgs 231/01 che – tuttavia – coinvolgono necessariamente anche la normativa sulla sicurezza sul lavoro.

I rischi del covid negli ambienti lavorativi

Nello specifico, sono stati individuati due filoni di rischi derivanti dal virus, quello indiretto e quello diretto.

Il primo deriva dal fatto che la pandemia può costituire “una ulteriore occasione di commissione di alcune fattispecie di reato già incluse” nel novero di reati presupposto ante-covid, ad esempio rispetto alle difficoltà economiche, finanziarie ed organizzative che le imprese hanno dovuto affrontare.

Tra queste vale la pena citare l’impiego di cittadini di Paesi terzi irregolari, la corruzione – sia essa tra privati che con la P.A. – i reati informatici, quelli contro l’industria e via dicendo.

Per altro verso, invece, Confindustria individua una serie di rischi diretti della pandemia in tema di salute sul luogo di lavoro e l’impatto che gli stessi possono avere sul modello ex D.lgs. 231/01, sui quali si ritiene doveroso soffermarsi.

Le implicazioni legislative

Vale la pena evidenziare preliminarmente come il datore di lavoro ricopra unaposizione di garanzia rispetto ai propri dipendenti sia ai sensi dell’articolo 2087 c.c. – che dispone:

“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” – che sulla scorta del T.U. sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro – D.lgs.81/2008 e s.m.i.

Tale condizione assoggetta il datore di lavoro alla normativa di cui all’art. 40 comma 2 c.p. – che postula: “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo” – e, per l’effetto, gli impone sia di contemplare il rischio di cui trattasi e valutarne la pericolosità, sia di disporre procedure ad hoc che mitighino il rischio di contagio medesimo.

Orbene, considerato che il contagio da Sars Cov-2 sul luogo del lavoro costituisce astrattamente una lesione colposa in capo al dipendente e la morte di quest’ultimo possa integrare l’omicidio colposo, sono necessarie alcune considerazioni.

Le fattispecie penalmente rilevanti citate fanno già parte dei c.d. reati presupposto e, pertanto, si potrebbe ipotizzare che se fossero già state prese inconsiderazione nella redazione del modello 231, quest’ultimo avrebbe dovuto essere “esclusivamente” integrato con il nuovo rischio sopravvenuto.

Diversamente, qualora il modello non avesse contemplato questo tipo di rischio, si sarebbe potuto astrattamente richiedere di aggiornare il modello di gestione e controllo inserendo le lesioni colpose e l’omicidio colposo (da Covid) tra i reati presupposto.

Tuttavia la dottrina ritiene che – in questa seconda ipotesi di rischio da contagio non strettamente dovuto all’attività dell’azienda ma in forza dei rapporti sociali presenti in qualsiasi ambiente di lavoro – le richieste del paragrafo precedente siano eccessivamente gravose sul datore di lavoro.

Nello specifico, si è ritenuto che non si debba richiedere un aggiornamento del DVR e del modello 231 a seguito della nuova mappatura del rischio ma “solamente” arricchire gli allegati al predetto documento con procedure volte a contenere la diffusione del virus, che si vedranno brevemente infra.

Covid-19: rischio esterno o interno all’azienda?

Questo orientamento muove dal fatto che il rischio derivante dal contagio da SarsCov-2 possa definirsi un rischio biologico che si origina all’esterno della struttura aziendale ma che si concretizza all’interno dei locali della stessa, attraverso il contagio tra lavoratori.

In altre parole e semplificando, il virus non può rinvenirsi all’interno dei locali aziendali senza essere veicolato al suo interno da agenti esterni.

Orbene, rispetto ai rischi di infortunio sul lavoro che sono, in potenza, totalmente governabili dal datore di lavoro attraverso un puntuale sistema di analisi del rischio e di mitigazione dello stesso, il pericolo di contagio da Sars Cov-2 e di diffusione del virus – proprio per le ragioni di cui sopra – non è contrastabile dall’imprenditore se non in quella minima parte che concerne le attività svolte all’interno dell’azienda.

La portata mondiale del virus, infatti, ha quale principale effetto quello di rendere – potenzialmente – qualsiasi ambiente e qualsiasi circostanza idonea a produrre la diffusione dello stesso senza possibilità di ricondurre con sufficiente grado di certezza l’origine del contagio di un soggetto ad una determinata collocazione spazio-temporale.

Per definire, quindi, i confini e gli oneri gravanti sui datori di lavoro, Istituzioni e imprese hanno redatto un “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, più volte modificato seguendo l’evoluzione della pandemia, con lo scopo di coordinare le misure previste dalle Istituzioni (ed esempio la classificazione delle attività e le chiusure totali o parziali delle stesse) e l’effort richiesto al singolo imprenditore.

Da qui la conseguenza che, rispetto alla responsabilità del datore di lavoro in caso di contagio dei propri dipendenti, la valutazione non dovrà fondarsi sul riconoscimento del rischio e sull’efficacia delle misure predisposte ma, piuttosto, sulla verifica dell’implementazione delle misure di prevenzione previste dalla normativa.

Si può quindi sostenere che le misure di mitigazione del rischio (sia rispetto al DVR che in ambito responsabilità dell’ente ex D.lgs. 231/01), teoricamente demandate al singolo datore di lavoro, in caso di contagio da Covid 19 vedono un maggiore impulso dalle istituzioni che non definiscono esclusivamente il fine ma che si spingono anche ad individuare – in modo più o meno puntuale – il mezzo.

Gli obblighi per il Datore di Lavoro

Sul punto, riprendendo le indicazioni di Confindustria e i dettami del Protocollo supracitato, i principali obblighi sono:

  • informazione: tutti i lavoratori e chiunque entri in azienda devono essere informati in ordine alle disposizioni delle autorità e con riferimento al complesso delle misure adottate dal datore di lavoro, mediante avvisi consegnati o affissi nei luoghi aziendali;
  • attività giornaliere di pulizia e sanificazione degli ambienti;
  • precauzioni igieniche personali;
  • dispositivi di protezione individuale per il personale;
  • gestione degli spazi comuni (es. mensa, aree fumatori) e rispetto delle distanze interpersonali;
  • definizione di una diversa organizzazione aziendale (turnazione, trasferte e smart working);
  • entrata e uscita di dipendenti e fornitori;
  • limitazione degli spostamenti interni, riunioni, etc;
  • gestione dei casi di presenza di una persona sintomatica in azienda;
  • prosecuzione nella sorveglianza sanitaria, in collaborazione con il medico competente e il RL

Tutte queste prescrizioni devono convergere in un protocollo aziendale (allegato poi al DVR) che, ove necessario, preveda ulteriori specificazioni sulla scorta dell’assetto aziendale, dell’attività svolta e delle peculiarità che necessariamente ogni attività produttiva possiede, con lo scopo di massimizzare l’effetto di contenimento del contagio ovvero del “nuovo” rischio.

Conclusioni

Nel solco di questa disciplina generale in continua evoluzione, si inserisce anche la questione dell’obbligo/facoltà di farsi vaccinare contro il Sars Cov-2, e dei risvolti che la somministrazione o meno dello stesso possano avere sulla responsabilità del datore di lavoro, sempre in tema di salute e sicurezza dei dipendenti.

Sicuramente per un certo verso la vaccinazione dei dipendenti potrebbe essere annoverata tra le misure atte a contenere la diffusione del virus ma, per altroverso, non essendo allo stato dei fatti possibile obbligare un soggetto a sottoporsi ad un trattamento sanitario, la mancata vaccinazione dei dipendenti non potrebbe essere valutata a danno del datore di lavoro.

Il confronto, quindi, tra l’obbligo di tutelare i lavoratori di cui all’art. 2087 c.c. e il diritto del singolo sancito dall’art. 32 comma 2 della Costituzione – che recita: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.” – è ineludibile.

Senza perdersi in eccessivi tecnicismi, si rileva come – allo stato – la riserva di legge contenuta nell’art 32 della Costituzione non può trovare soddisfazione nel generale obbligo del datore di lavoro di cui all’art. 2087 c.c.

Pertanto, in assenza di una modifica normativa che preveda espressamente la possibilità di imporre l’obbligo vaccinale, la somministrazione o meno del vaccino risulta inconferente nella valutazione di una eventuale responsabilità del datore di lavoro.


Ringraziamo l’avvocato Emilio Sacchi per l’approfondimento

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