Nella vita di coppia può capitare che le incompatibilità caratteriali si manifestino dopo i primi annidi vita coniugale, ben potendo rivelarsi ai limiti della sopportazione e si decida d’un tratto di dire: “basta”!
Nel 2020, infatti, ci sono stati 831 divorzi giudiziali, 1.943 le separazioni consensuali e 1.293 divorzi congiunti (fonte: ISTAT).
Qual è la differenza tra divorzio e separazione?

La premessa necessaria è che esiste una sostanziale differenza tra divorzio e separazione.
Infatti, con la separazione marito e moglie assumono la condizione di ‘coniugi separati’ e non vi sono più i tipici doveri coniugali da rispettare: non c’è più il dovere di coabitazione né di fedeltà, non c’è più il dovere di assistenza morale e materiale verso l’altro.
Ciononostante, si rimane coniugi, e dunque non ci si può risposare.
Con il divorzio, invece, il matrimonio si scioglie definitivamente e si è liberi di convolare a nuove nozze od unioni.
Rispetto a quanto avviene per il matrimonio, tuttavia, le unioni civili possono sciogliersi più celermente: non è infatti necessario passare per la formale separazione, ma è sufficiente che i partner comunichino all’ufficiale di stato civile, anche disgiuntamente, la loro intenzione di dividersi. Fatto questo passaggio e trascorsi tre mesi, diviene possibile proporre domanda di divorzio.
Quali sono le conseguenze per il Diritto del Lavoro?

Tra le incombenze che comporta il momento della separazione o dei divorzi, esistono anche quelle legate al diritto del lavoro.
Ad esempio, in materia di TFR la normativa di riferimento dispone che al coniuge divorziato spetti una quota del TFR maturato dall’altro coniuge, al momento della fine del rapporto lavorativo: in particolare, al coniuge divorziato spetta la quota corrispondente al 40% del TFR riferibile agli anni di matrimonio che hanno coinciso con il rapporto di lavoro.
Il TFR invece, non spetta al coniuge separato come riportato dall’art. 12 bis della legge 898/70, denominata appunto la legge sul divorzio. Questo obbligo viene meno se, in caso di separazione di qualsiasi unione, l’ex coniuge stia già versando l’assegno per gli alimenti.
Nel caso invece dell’assegno di mantenimento c’è una importante novità che si ritrova nella sentenza della Cassazione n. 9686/20 del 26 maggio 2020, in cui si è deciso che il coniuge separato, il quale può eseguire un pignoramento sullo stipendio dell’altro se risulta non versato l’assegno di mantenimento, può trovarsi bloccata la procedura esecutiva se viene eccepito un controcredito nei confronti del coniuge ed è in grado di documentarlo.
Bisogna anche considerare che…

Attenzione perché anche il semplice ritardo può consentire l’esecuzione sullo stipendio (vedasi Cassazione civ. con sentenza 23668/2006, la quale ha stabilito che:
la mancanza di puntualità e l’irregolarità nella esecuzione dei pagamenti, talché anche reiterati ritardi o inadempimenti parziali possono essere posti a base della richiesta di ordinare il versamento dell’assegno da parte del giudice al datore di lavoro
L’assegno di mantenimento è infatti il sostegno economico riconosciuto in seguito alla separazione e viene sostituito dall’assegno divorzile che si inserisce a partire dal divorzio e che resta attivo per l’intero periodo successivo, salvo i casi di revoca.
E se il vostro “ex” fosse disoccupato, il mantenimento è sempre dovuto?
Tanto più il partner disoccupato è giovane e capace di lavorare (per formazione o precedenti esperienze), tanto inferiore è l’assegno di mantenimento che può spettare, a meno che il partner disoccupato non dimostri di aver fatto di tutto per trovare un’occupazione e non vi sia riuscito.