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I risvolti penali dello smart-working

Lo smart working, chiamato anche impropriamente lavoro agile, è quella tipologia di lavoro che consente ad un soggetto di svolgere le proprie mansioni presso il proprio domicilio o altro luogo prescelto, invece che in “ufficio”.

Questa modalità di lavoro è stata notevolmente incentivata a causa della pandemia da Sars Cov-2 che ancora oggi affligge il nostro paese e tutto il mondo.

Oggi cercheremo di capire insieme quali possono essere i principali rischi penali connessi allo svolgimento di Smart Working.

Salute e Sicurezza sul posto di lavoro

La prima considerazione che viene in mente riguarda la salute e sicurezza sul lavoro, disciplinata dal T.U. sulla sicurezza, e la possibilità che questa si applichi anche quando un dipendente/collaboratore lavori da casa.

La normativa, infatti, prevede che il Datore di lavoro, individuati i singoli rischi del caso di specie, assuma una serie di accortezze per far sì e i propri dipendenti e tutte le persone che entrano in azienda possano svolgere le proprie attività in un ambiente salubre e sicuro.

Il documento che riassume i rischi derivanti o connessi all’attività lavorativa e le misure poste in essere per la mitigazione degli stessi è il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) ed i relativi allegati.

Il rischio che corre il datore di lavoro è quello di vedersi contestato il reato di lesioni personali colpose aggravate dalla violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, o il ben più grave omicidio colposo, anch’esso aggravato dalle violazioni delle norme sulla sicurezza sul lavoro.

Come è ben evidente, quindi, individuare i rischi e cercare di contenerli al massimo, oltre a fornire una tutela a ciascun dipendente, tutela anche il datore di lavoro ed, in ultimo, l’azienda medesima – a cui potrebbe essere contestata la responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato, di cui al d.lgs. 231/2001, considerato che gli illeciti in questa sede richiamati sono ricompresi tra i “reati presupposto” che possono astrattamente far emergere la responsabilità anche in capo alla persona giuridica.

L’onere a carico del datore di lavoro non viene meno – dal punto di vista normativo – nemmeno con il lavoro agile, poiché è la stessa L. 81/17 all’art. 22 che dispone come “Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile” ma viene attenuato, poiché non vi è la concreta possibilità per il Datore di Lavoro di verificare e supervisionare – direttamente o per il tramite di terzi – delle condizioni del dipendente che, quindi, assume anch’esso una parte di responsabilità nell’organizzarsi per autotutelarsi al meglio.

Il luogo predisposto per lo smart-working

Un esempio tipico di questa collaborazione si ritrova nell’individuazione del luogo dove il dipendente lavorerà effettivamente e nella condivisione di tale decisione con il proprio datore di lavoro al fine di valutare congiuntamente che lo spazio scelto sia effettivamente sicuro o non presenti rischi inutili (una stanza della propria abitazione è astrattamente più “sicura” di un terrazzo senza parapetto, ad esempio).

Per altro verso, il datore di lavoro potrebbe fornire al dipendente/collaboratore una serie di indicazioni o di linee guida, da rispettare tassativamente, lasciando di fatto libero il lavoratore di individuare un luogo che possa ritenersi idoneo a svolgere la propria attività, sulla scorta delle indicazioni ricevute.

Benefits aziendali per garantire il benessere del lavoratore

Ed ancora, il datore di lavoro potrà altresì fornire una serie di strumenti e dispositivi idonei a prevenire – in linea di massima – l’insorgere di malattie professionali e/o il verificarsi di infortuni determinati dal concreto svolgimento delle mansioni assegnate al singolo e non determinate dall’ambiente circostante.

Tra queste, a titolo meramente esemplificativo e considerato che il lavoro agile è svolto con strumenti informatici, possono rivenirsi “dispositivi” quali sedie/ sedute che possano prevenire problematiche posturali, schermi che filtrino la c.d. luce blu e simili.

Per altro verso, una diversa e ulteriore fonte di “rischi” derivanti dallo Smart working promanano dagli strumenti informatici utilizzati per svolgere l’attività lavorativa.

Privacy e diritto alla disconnessione

Tali pericoli concernono sia la privacy e la libertà di autodeterminazione (intesa in termini di diritto alla disconnessione) del lavoratore, sia la sicurezza informatica della azienda e dei dati/sistemi ivi contenuti.

Ed invero, per quanto concerne il primo gruppo di fattispecie, è evidente come l’utilizzo di strumenti informatici possa consentire le interferenze illecite nella vita privata, considerato che le riunioni e le call spesso avvengono all’interno delle mura domestiche e che le webcam/ microfono possono essere hackerati, nonché la violazione della privacy. 

Risulta inoltre aumentato il rischio di commissione di reati informatici a danno dei lavoratori, considerato che il dispositivo da questi utilizzato è in costante comunicazione con altri dispositivi dislocati in luoghi diversi e connessi tramite internet, esponendo quindi tutta la “rete” a possibili attacchi cyber.

D’altro canto, proprio questa diffusione sul territorio di strumenti informatici interconnessi tra loro espone anche l’azienda medesima a maggiori rischi di cyberattacchi che utilizzano la rete medesima come viatico per la propria commissione.

Tra questi non si possono non citare l’Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico (art. 615 ter c.p.), Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617 quater c.p.), Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici (art. 635 bis c.p.).


L’analisi in questa sede proposta non vuole in alcun modo contrastare o denigrare il lavoro agile ma, anzi, si propone quale spunto di riflessione per datori di lavoro e dipendenti che vogliano adottare questo nuova modalità di lavoro al fine di tutelare al massimo ogni soggetto – fisico o giuridico – coinvolto.  

Ringraziamo l’avv. Emilio Sacchi per questo articolo

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